“Divide et impera” questo è il sistema fiscale italiano

Il decreto fiscale, la lotteria degli scontrini, il nuovo limite di importo al prelievo di denaro dal conto corrente e lo spesometro trimestrale.

Sono notizie recenti che preoccupano quelle contenute nell’ultima versione del decreto fiscale.

Nel decreto fiscale e nella legge di stabilità di fine anno potrebbero essere inserite norme relative alla cosiddetta lotteria degli scontrini ed all’introduzione di un limite al prelievo in contanti dal conto bancario.

Per quanto riguarda la lotteria degli scontrini, la parte più inquietante del sistema emerge dalle modalità di partecipazione alla lotteria: infatti lo scontrino elettronico funzionerà come accade ora nelle farmacie.

Il contribuente dovrà solo comunicare il proprio codice fiscale al negoziante e l’Agenzia delle Entrate riceverà direttamente l’identificativo di spesa ed il codice ad esso collegato.

L’inquietudine emerge dalla ovvia considerazione che, in questo modo, sebbene già oggi il fisco abbia a disposizione circa 128 banche dati dalle quali trarre notizie sulle spese dei cittadini italiani, non vi sarebbero più limiti alla penetrazione dello Stato nella privacy di ognuno.

Lo Stato potrebbe sapere in ogni momento quanto ha speso  Tizio o Caio e, di conseguenza, avviare azioni di accertamento ben mirate e basate su elementi fondati, attivando redditometri a raffica.

Invece per quanto riguarda il limite ai prelievi dal conto bancario si parla che chi preleva dal conto corrente una somma superiore a mille euro in un giorno o a cinquemila euro in un mese, potrebbe essere oggetto di indagini da parte dell’Agenzia delle entrate. Viene infatti fissato un limite numerico alle operazioni sul proprio conto oltre il quale scatterà automaticamente una presunzione di “nero” qualora il contribuente non riesca a dimostrare il contrario.

Insomma un sistema che mette tutti contro tutti, infatti tutte queste regole, nuove o modificate, introducono obblighi fiscali, giuridici e burocratici che non semplificano certo la vita e la gestione delle imprese italiane.

Questa strategia fiscale contribuisce ad evitare che una serie di piccole entità, ciascuna titolare di una quantità di potere, possano unirsi, formando un solo centro di potere, una nuova e unica entità più rilevante e pericolosa. Per evitare ciò, il potere centrale tende a dividere e a creare dissapori fra le categorie di cittadini, in modo che queste ultime non trovino mai la possibilità di unirsi contro di esso.

Questa tecnica permette quindi ad un potere centrale, come un governo dispotico numericamente modesto, di governare e dominare su una popolazione sensibilmente più numerosa.

Certamente è più facile mettere l’una contro l’altra le categorie dei cittadini piuttosto che attuare una riforma fiscale improntata alla semplificazione ed all’abbassamento delle aliquote e dei costi della burocrazia.

Parlando di costi della burocrazia è da considerare che tutte queste operazioni di contrasto all’evasione hanno un costo, sia in termini diretti, cioè l’onere degli organi di vigilanza e della struttura del contenzioso tributario, che in termini indiretti, cioè l’impatto sul sistema economico delle misure adottate che riducono i consumi e bloccano la crescita del Pil.

A parte l’enorme impatto sulla tutela della privacy, evidentemente tali dati non bastano se oggi occorrono ulteriori norme che frenano la crescita economica e manovre pseudo-disperate come le lotterie sugli scontrini fiscali, forse varrebbe la pena di fare un calcolo a livello macro-economico per vedere se le misure di contrasto all’evasione, soprattutto quando superano una certa soglia di sopportabilità sociale, invece che portare benefici a tutti i cittadini, non nuociano invece al sistema economico provocando un danno più rilevante del vantaggio dato dal potenziale recupero delle imposte evase.

La pressione fiscale/previdenziale/burocratica complessiva ha raggiunto circa il 68% dell’imponibile, percentuale che diventa a tre cifre se si tratta di contribuente nei primi anni di attività o in crescita, infatti il saldo e l’acconto al 100% costringono a reperire risorse finanziarie esterne alle aziende perché il carico è addirittura superiore al reddito imponibile. Infatti alla fine basterebbe solo osservare il carico fiscale annuale da giugno a novembre per capire che un contribuente spende (in tasse) più di quello che ha dichiarato, altro che banche dati astruse e costose!

Ma la funzione erariale oggi sembrerebbe essere ispirata in gran parte da criteri di mantenimento della complessità burocratica per giustificare l’enorme e costosissimo apparato statale che la deve auto-sostenere e dalla vessazione del contribuente sulla base di criteri formali esasperati che ostacolano l’attività imprenditoriale e che non sembrerebbero né necessari né opportuni, soprattutto in tempi di crisi come quelli che stiamo vivendo.

Allora sembrerebbe prevalere l’applicazione del principio del «divide et impera», mettendo in conflitto di interessi i cittadini, gli uni contro gli altri: professionisti contro clienti, artigiani e commercianti contro i lavoratori dipendenti, uomini degli apparati statali contro i cittadini.

Il timore è che se il sistema Paese non farà un gigantesco passo in avanti sulla via della semplificazione e della buona amministrazione, non soltanto non verranno più investitori stranieri in Italia, ma si perderà una considerevole fetta dei produttori italiani di ricchezza, che chiuderanno per l’impossibilità di sostenere tutti i gravami fiscali e previdenziali vigenti o che delocalizzeranno per cercare di trovare fortuna altrove.

Non a caso oggi ho trovato un commento, di un cittadino italiano all’estero, su un nostro articolo relativo al prossimo referendum “Lettera di Marco Travaglio agli italiani all’estero”:

Giusto per precisare: siamo tutti purtroppo consapevoli, “all’estero”, che l’Italia continua ad essere la barzelletta del mondo. Anche se il signor Renzi pensa di far credere che lui apporta un’immagine positiva. Suppongo che nessuno ha ancora pensato di proporre ai politici (di fatto o potenziali) di passare sei mesi a lavorare “all’estero” in maniera anonima e con umiltà. Sarebbe una vera occasione per imparare:

1- cosa vuol dire lavorare.

2 – cosa vuol dire saper vivere.

3 – trovare delle idee valide e già applicate per far crescere l’italia.

4- rendersi conto che “all’estero” il budget e’ fatto per essere gestito, non dilapidato …… E tante altre buone pratiche di vita VERA.

Sarebbe tempo di far tramontare le pratiche e i decori della commedia dell’arte applicate a torto alla gestione di un Paese. Grazie.