Affreschi tomba François – Dopo il NO (scontato) dei Torlonia il delirante appello al Papa del presidente della Fondazione Vulci

La figuraccia collezionata con la scalata alla televisione commerciale Mecenate non è bastata, adesso il super top manager anche lui venuto dal passato, Carmelo Messina, mette in ridicolo l’ente con l’appello al Santo Padre

MONTALTO DI CASTRO – Quando, nella giornata di ieri, abbiamo letto un lancio dell’agenzia di stampa AdnKronos sul Parco di Vulci, non volevamo credere a ciò che stavamo leggendo. Il presidente dell’omonima Fondazione, Carmelo Messina, dopo essere andato a vuoto con la famiglia Torlonia per riavere gli affreschi della tomba François, annuncia il tentativo di rivolgersi a Papa Francesco per avere “obbedienza” dalla nobile famiglia.

Gli affreschi della Tomba François, – recita la nota inviata – considerata uno dei più importanti monumenti etruschi, non torneranno ‘a casa’, neanche per una mostra temporanea. Esclusa, almeno per il momento, la possibilità che l’opera, conservata dai Torlonia a Villa Albani, possa tornare a mostrarsi al pubblico nella sua sede originale, la tomba scoperta nel 1857 nella necropoli di Ponte Rotto a Vulci, così come aveva chiesto il presidente della Fondazione Vulci e del Parco Naturalistico Archeologico Vulci, Carmelo Messina, in un appello lanciato lo scorso febbraio proprio ai Torlonia.

“Ci è appena arrivata una risposta informale che sostanzialmente non concede il prestito degli affreschi”, dice all’Adnkronos Carmelo Messina che si era rivolto alla famiglia Torlonia perché concedesse la fruizione degli affreschi, ferma restando la titolarità dell’opera senza la quale, però, “la tomba appare violata, incompleta”, sottolinea Messina.

Nel 1863, a pochi anni dalla scoperta, gli affreschi furono distaccati, per iniziativa del Principe Torlonia e, dopo un primo intervento di restauro, furono conservati a Roma, sempre in proprietà privata, prima nel Museo Torlonia di Via della Lungara e in seguito trasferiti a Villa Albani, dove si trovano ancora oggi, accessibili solo agli studiosi.

Per riportare l’opera nel suo contesto originale, “eravamo disposti a riconoscere ai Torlonia sia il valore economico del prestito, versando loro i proventi delle visite o delle mostre, sia il prestigio di tale prestito intestando loro un museo”, spiega Messina. Ma per il momento l’opzione sembra essere esclusa.

Qui la prima dolente nota della nota (cacofonico ma ci sta tutta).

Messina sarebbe stato disposto a riconoscere ai Torlonia il valore economico del prestito. A parte che, beati loro, non ne hanno certo bisogno. Bisogno che invece hanno i dipendenti e lavoratori della Fondazione che ogni giorno combattono per avere un rotolo di carta igienica o una risma di carta per la fotocopiatrice.

Sul prestigio poi non ne parliamo. Messina, evidentemente, ha trascorso troppi anni in giro per il mondo per non sapere che la famiglia Torlonia quel “prestigio” lo ha ben consolidato e che, qualche decennio fa, concesse a Storace, al presidente dell’allora Parco Archelogico di Vulci Carlo Falzetti (ancora rimpianto), una straordinaria esposizione di quei dipinti messi in mostra all’interno del Castello di Vulci.

L’ambizione del Messina, alle prese anche con le valigie di cartone con le quali ha mandato in giro per il mondo il figlio a diventare un numero uno, va oltre, creando forte imbarazzo anche al sindaco di Montalto di Castro Sergio Caci che non nasconde preoccupazione per queste “esternazioni” di colore dell’anziano manager.

Il presidente della Fondazione Vulci, però, – continua quella divertentissima nota – non si arrende e annuncia una serie di iniziative per tenere alta l’attenzione sulla vicenda: da una raccolta di firme al coinvolgimento, in una sorta di catena della solidarietà, di musei da tutto il mondo. E si dice pronto a fare l’ennesimo appello, ma questa volta a Papa Francesco.

“Non mi arrendo. I Torlonia sono servitori del Papa, e allora lanceremo un concorso rivolto agli studenti del territorio, perché scrivano al Pontefice affinché interceda per aiutare l’economia del territorio che per molti secoli è stato fonte di ricchezza per la famiglia Torlonia”.

Già questo basterebbe ai sindaci che in quota parte gestiscono la Fondazione a “dimissionare” il buon Messina e metterlo (come hanno fatto i grandi gruppi per i quali ha lavorato) in quiescenza definitiva.

Poi si lascia andare a parallelismi e paragoni. Uno si sarebbe aspettato cose del tipo: “Come la Domus Aurea di Nerone per Roma”. Oppure “come il Colosseo per Roma”. “La Giocanda per il Louvre di Parigi”. Come il “Partenone per Atene” ecc. ecc.

Invece cosa viene in mente al sommo esperto di etruscologia dell’Etruria tosco-maremmana?

Il sogno del presidente del Parco Naturalistico Archeologico “è di fare in modo che la Tomba François con i suoi affreschi diventi per Vulci quello che Mozart è per Salisburgo”, spiega Messina. Insomma, un volano di sviluppo, turistico e culturale, per un territorio che ha molto da offrire e raccontare.

Mozart? Salisburgo? Ma che c’azzecca direbbe il re del congiuntivo Di Pietro.

Un suggerimento lo possiamo dare al sindaco Caci che per la sua campagna elettorale ha ingaggiato, gratuitamente, dei veri e propri professionisti in fatto di elezioni amministrative, spin doctor a cui nemmeno Hillary Clinton ha potuto fare a meno, gente del calibro di Carai, di Brizi e del “pescetto” che non permetteranno a nessuno di vincere se non a lui.

A cosa serve quindi Messina in queste condizioni se non a rovinare una battaglia vinta.

Paragonare Mastarna a Mozart lo abbiamo trovato davvero di pessimo gusto e, soprattutto, fuori luogo.

Messina farebbe bene a dedicare più tempo alla scalata alle televisioni commerciali e lasciare spazio a chi è in grado di portare risorse vere ad uno dei parchi archeologici più belli al mondo.