«Mio figlio è stato ucciso per aver operato il boss Provenzano»

La madre dell’urologo di Barcellona Pozzo di Gotto si sfoga su Facebook dopo la sentenza che ha stabilito che il giovane fu ucciso per droga

VITERBO – Né mafia, né complotto. Attilio Manca fu ucciso da una dose di eroina che gli venne ceduta da Monica Mileti, una donna romana condannata a 5 anni e 4 mesi. Lo scrive nelle ventidue pagine di motivazione di quella sentenza, il giudice del tribunale di Viterbo, Silvia Mattei.

Motivazioni che non convincono la famiglia di Attilio e le associazioni antimafia che dal 2004, quando il medico fu trovato morto, sostengono che si tratti di un delitto di mafia. Secondo la loro tesi, infatti, l’urologo dell’ospedale di Belcolle è stato ucciso, a soli 35 anni, dopo aver visitato e curato il boss della mafia Bernardo Provenzano. Una tesi, questa, destinata a non trovare conferma nelle aule di giustizia, alla luce anche dell’imminente richiesta di archiviazione della procura antimafia di Roma che stava indagando, contro ignoti, per omicidio.

 «Attilio il giorno 11 Febbraio, di mattina doveva effettuare un intervento a Villa Valeria assieme al dottor De Vecchis; la sera aveva invitato a cena il professor Ronzoni, primario del Policlinico Gemelli, a cui era legatissimo. Non si presenta ad entrambi gli appuntamenti perchè, secondo la procura di Viterbo , preferisce rimanere a casa a farsi l’eroina. Mi chiedo: perchè hanno tanta paura di far emergere la verità su Attilio? Perchè hanno prodotto prove false, a cominciare dall’esame tricologico, effettuato anni dopo la morte di Attilio e senza che noi ed i nostri legali fossimo avvisati?».

A porre queste domande su Fb è Angela Manca, madre di Attilio Manca, il medico trovato cadavere nella sua abitazione di Viterbo, nel 2004, che secondo la famiglia e i suoi legali sarebbe una vittima di mafia. «Io so che il pentito barcellonese Carmelo D’Amico, che ha detto che Attilio è stato ucciso per aver assistito Bernardo Provenzano – prosegue la mamma di Attilio Manca – è molto attendibile e tutto quello che ha detto fino ad oggi è stato regolarmente verificato. Che motivo avrebbe a mentire sull’omicidio di Attilio?».

Nei giorni scorsi è stata emessa la sentenza di primo grado emessa dal giudice di Viterbo Silvia Mattei al termine del processo per la morte di Attilio Manca,  che ha visto la condanna a cinque anni e quattro mesi di reclusione della sola Monica Mileti, la donna accusata di aver ceduto la dose di eroina che, nel 2004, avrebbe provocato a Viterbo la morte dell’urologo di Barcellona Pozzo di Gotto.

Ora sono state diffuse le motivazioni e l’avvocato Antonio Ingroia, difensore con l’avvocato Fabio Repici della famiglia Manca, dice che  «leggendo gli stralci delle motivazioni pubblicati dalla stampa si ricava una triste conferma: sull’omicidio di Attilio Manca, perché di omicidio si tratta, non solo giustizia non è stata fatta ma è stata commessa una macroscopica ingiustizia».

“C’era da sperare – ha aggiuto Ingroia – che il giudice di Viterbo avesse trovato qualcosa che ci fosse sfuggito: un particolare, una testimonianza minore, un elemento rivelatosi decisivo. Invece no. Invece solo, purtroppo, le stesse ricostruzioni lacunose e le stesse considerazioni infondate sostenute dalla procura, lo stesso incredibile capovolgimento della realtà, la stessa ignobile calunnia verso una persona perbene, un giovane e stimato chirurgo spacciato come un tossicodipendente. E, sopra tutto, la stessa reticenza sulla trattativa Stato-mafia e le coperture istituzionali alla latitanza di Bernardo Provenzano, con la lunga scia di sangue che si sono lasciate dietro. Attilio Manca è una vittima di Stato e di mafia, ma lo Stato non può e non vuole ammetterlo. Noi e la famiglia di Attilio non ci arrenderemo mai e continueremo a batterci perché sia stabilita la verità e sia fatta finalmente vera giustizia. Con noi ci sono tantissimi italiani, a cominciare dagli oltre 30mila che hanno firmato la petizione perché l’inchiesta sulla morte di Attilio non sia archiviata.

Ingroia per finire fa un appello «ai magistrati romani perché non archivino, alla procura generale di Roma perché appelli la sentenza ingiusta di Viterbo, alla procura nazionale antimafia che ha un esposto da noi presentato perché si occupi del caso. C’è bisogno di indagini serie e meticolose – conclude Ingroia – perché le prove che quello di Attilio non è stata una tragedia di droga ci sono tutte».