Lettere al Direttore: “L’Università Agraria di Tarquinia non può essere sciolta”

TARQUINIA – Riceviamo e pubblichiamo: Grazie al servizio web che offre Google Alerts, ogni giorno mi vengono portate notizie che riguardano i Beni Collettivi, le Università Agrarie, i patrimoni del demanio civico di tutt’Italia. Per me che me ne occupo, ormai quasi prevalentemente, è una cosa straordinaria perché mi permette di conoscere ciò che si muove intorno al “nostro mondo”. Ancora oggi leggo notizie che riguardano l’Università Agraria di Tarquinia e, la notizia che leggo, di fare un referendum sullo scioglimento dell’Università Agraria di Tarquinia, da l’idea che chi scrive non sa di cosa stia parlando.

Tali proposte possono venire quando non si sa di cosa si sta parlando, ovvero quando la cosa di cui si parla è divenuta un’esasperazione che si preferisce non occuparsene più. Ci si arrende difronte a ciò che non si riesce più a governare. Dico a costoro che intanto non si può fare un referendum in tal senso. Le Università Agrarie si possono sciogliere (art. 62 del R.D.332/1928) quando non ci sono più diritti da far valere e/o beni da amministrare. E a Tarquinia non mancano certo né gli uni né gli altri.

Passare tutto al Comune? Non si può, perché la nuova legge approvata in via definitiva dalla Camera dei Deputati il 26 ottobre u.s. dice proprio il contrario. La nuova legge dice che la dove non esistono già gli enti amministratori dei territori collettivi, si debbono costituire le ASBUC (Amministrazioni Separate Beni Uso Civico) ai sensi della L.278/1957. Dice anche tale nuova legge, che fino a quando tali nuovi enti non saranno costituiti i comuni provvederanno alla GESTIONE dei domini collettivi IN AMMINISTRAZIONE SEPARATA. Ciò significa che dovranno farlo con bilanci separati che NON vanno confusi con i bilanci degli enti locali, ma con bilanci a parte e, le somme amministrate NON possono essere adoperate, come è stato fatto finora per ripianare i bilanci dei comuni conquassati da amministratori “poco attenti” quando non ladri, di cui le cronache ci danno notizie quasi giornalmente.

L’esperienza mi porta a prendere le distanze da quello che hanno fatto la maggior parte dei Comuni italiani dei beni di proprietà collettiva, dal momento che li considerano di loro proprietà patrimoniale e non della popolazione. I comuni hanno badato a dissipare i “nostri” beni e ad usarli soltanto come mezzo riparatore di gestioni “allegre” dei bilanci comunali stessi. A Tarquinia, sicuramente, i partiti hanno “investito” troppo nell’ Università Agraria pretendendo che questa fosse paragonata ad un comune nel comune. Non c’è cosa peggiore.

Il Comune è l’Ente locale per antonomasia, il principe del territorio ed il principale gestore di degli interessi generali di una determinata popolazione; l’Università Agrarie è SOLTANTO l’ente esponenziale della popolazione titolare dei diritti di uso civico a questa appartenenti e non l’ente in cui mandare a morire gli elefanti trombati o da trombare della politica locale, ovvero il luogo in cui si allevano i nuovi, futuri amministratori locali. Chi la pensa così è fuori dal tempo, è portatore di un pensiero forviante della realtà.

Le Università Agrarie, soprattutto in un territorio come quello di Tarquinia, dove l’attività dell’Ente agrario amministra ben 7000 ettari del territorio comunale, debbono cercare di far sviluppare il principio della sussidiarietà previsto dall’art. 118 della Costituzione. Amministratori intelligenti, del Comune o dell’Università Agraria, nell’interesse della popolazione (che è la stessa) debbono lavorare insieme e dare il meglio per raggiungere obiettivi che diversamente non si possono raggiungere, soprattutto da quando la finanza locale ha ridotto gli enti locali soggetti incapaci di fornire a quella popolazione nemmeno i servizi primari dovuti per legge.

La nuova Università Agraria di Tarquinia, da chiunque verrà amministrata dopo questo turno elettorale di dicembre p.v., la prima cosa che dovrà fare, sarà quella di fare un nuovo statuto (quello fatto dal commissario regionale e dai rappresentati dei partiti tarquiniesi non vale già più niente) e lo dovrà fare con tutti i cittadini di Tarquinia, osservando il principio di AUTONORMAZIONE che la nuova legge ha introdotto non con i partiti che, anche se tutti, non rappresentano gli interessi della popolazione di Tarquinia unica titolare dei diritti di uso civico e della proprietà collettiva. Mi sorprende che questa cosa non la si sia ancora capita in una città che ha una storia ed un patrimonio collettivo di così grande importanza e valore.

A Tarquinia deve vincere chi vuole rifare l’Università Agraria sulla base della nuova legge, riportandola in mano ai tarquiniesi, togliendola da quelle dei partiti, vecchi e nuovi che l’hanno distrutta e che la vorrebbero addirittura sciogliere. Quando in passato ho criticato chi amministrava l’ente agrario di Tarquinia per averne fatto un comune nel comune, sono stato criticato al punto che gli amministratori di quel tempo non si associarono più all’ARUAL, che è l’Associazione regionale delle Università Agrarie del Lazio, che l’Agraria di Tarquinia, peraltro aveva contribuito a fondare.

Oggi potrei dire con estrema facilità “Ve l’avevo detto” ma non mi sento Cassandra ed allora dico a tutti i Tarquiniesi di lavorare per risolvere i problemi economici della loro Università Agraria, di creare un nuovo soggetto politico-amministrativo, di farlo insieme, soprattutto adesso che c’è da rifondare l’ente con un nuovo statuto tipico di una soggetto privato, con nuove opportunità per tutti, non quindi nello spazio ristretto della mentalità dei partiti che vedono soltanto potere e voti, ma nella generale convinzione che gli interessi della Gente di Tarquinia in materia di proprietà collettiva e di diritti di uso civico, debbono stare nelle loro mani, non di quelle del comune che non centra, non centrerà e non ci può entrare.

Cordialmente

Marcello Marian 

(Presidente A.R.U.A.L.)