Viterbo “Operazione Erostrato” – Regolamento di conti tra mafiosi per la “taglia” messa da Camilli sui fratelli Vinci

Il patron della viterbese si era rivolto prima a Marras per “sistemare” i fratelli calabresi di Canino il quale ingaggiò anche Trovato. I 50mila pattuiti finirono in gran parte nelle tasche del “napoletano” e questo scatenò l’ira del “calabrese”

VITERBO – La vicenda che vede coinvolto Piero Camilli e la sua famiglia è assai complessa ed articolata di come si possa minimamente immaginare. Oggetto di altri procedimenti penali paralleli di cui non si conoscono gli esiti e che potrebbe avere ulteriori clamorosi risvolti. Tutto nasce dalla richiesta di aiuto formulata dai fratelli calabresi Antonio e Giuseppe Vinci a Piero Camilli.

Il lavoro dell’agricoltore e del pastore non è facile né consente di avere guadagni elevati. Gli affari ai fratelli Vinci si mettono male e un bel pezzo della loro vita, cioè un grande appezzamento di terreno situato a Canino viene messo all’asta. Il favore chiesto a Camilli dai fratelli era molto semplice. Comprare il terreno, lasciarglielo in affitto e poi loro, piano piano, lo avrebbero pagato con il giusto interesse all’amico.

Purtroppo però i fratelli Vinci non sono regolari nel pagare mensilmente quanto pattuito con Piero Camilli. Anzi. Non solo non vogliono più pagare ma fanno anche la voce grossa.

Cammilli decise che era giunto il momento di entrare in possesso del terreno e di far uscire dal suo fondo, con tutti i loro averi, i fratelli Vinci.

I fratelli Antonio e Giuseppe Vinci però sono ossi duri e non hanno paura delle minacce legali ed iniziano a litigare con Camilli. Ci sono una serie di denunce presentate da entrambe le parti che giacciono in qualche fascicolo della Procura di Viterbo. In particolare ci sono le denunce querele, anche per pesanti minacce, ricevute dallo stesso Camilli (busta con proiettili e ingenti richieste di denaro).

Piero Camilli vuol risolvere la vicenda con questi due personaggi che, non solo non lasciavano il terreno, ma minacciavano l’intervento di alcuni loro familiari definiti “‘ndranghetisti“.

Camilli si rivolge quindi ad un personaggio che, tra le altre cose, fu testimone di uno scontro verbale assai acceso con i Vinci e chiamato a testimoniare in suo favore davanti ai carabinieri.

Chiede aiuto a Pietro Raimondo Marras. Personaggio molto conosciuto alle cronache. Faceva parte della banda che in Toscana si rese artefice di decine di rapine. Rapine famose perché, per la prima volta, i sardi erano armati dei famigerati AK 47 di fabbricazione russa.

Quest’ultimo, a fronte di un lauto compenso, coinvolge Franco Bachisio Goddi che nel 1999, quando fu arrestato in via Garbini, era nell’elenco speciale dei 30 ricercati più pericolosi d’Italia.

Fu arrestato nel 1999 perché la suprema corte aveva confermato i 30 anni di reclusione inflitti in appello per il rapimento e l’omicidio di Mirella Silocchi, moglie di un imprenditore emiliano, avvenuto il 28 luglio del 1989 a Stradella di Collecchio.

Originario di Orune, Goddi fu arrestato nel 1992 a Viterbo, dove faceva l’allevatore, perché ritenuto uno dei carcerieri della Silocchi. Secondo i giudici, infatti, la prigione della donna sarebbe stata proprio in un suo podere in località Berceto, nelle campagne di Tuscania, a circa 20 chilometri da Viterbo. Fu proprio nel podere di Berceto che si concentrarono le ricerche della squadra mobile di Parma che, coadiuvata da tecnici ed esperti, analizzò con cura il fondo di un pozzo, dove furono trovate una fede matrimoniale e resti di ossa umane. Gli investigatori, e successivamente i giudici, si convinsero che quella di Berceto fosse stata l’ultima prigione della Silocchi, che sarebbe poi morta di stenti. 

Marras oltre a Goddi si rivolge a Trovato (calabrese) e Casertano (campano). Di fatto a loro, indirettamente si rivolge Piero Camilli per risolvere il problema. Dalle carte dell’inchiesta emerge che, per questo “lavoretto”, il presidente della Viterbese-Castrense sborserà la bellezza di 50mila euro in contanti. Venticinquemila di questi 50 finiscono, a quanto si legge, nelle tasche del napoletano (residente a Vetralla) Daniele Casertano mentre, a quanto pare, solamente mille euro vanno nelle tasche del Trovato.

 

la vicenda Camilli

 

Trovato sapeva qualcosa della vicenda, ma non tutto!

Quando venne a sapere la cifra sborsata da Camilli al Marras e al Casertano andò su tutte le furie perché i calabresi, secondo il suo giudizio, erano stati sistemati da lui e non da altri quindi, iniziò a fare pressioni estorsive contro Piero Camilli perché si riteneva danneggiato.

Una escalation di violenze che hanno preso di mira Daniele Casertano, il “camorrista”, che aveva nascosto la vera entità della somma pagata da Camilli.

Poi le pressioni telefoniche e personali, fatti di incontri che Piero Camilli, secondo la DDA non ha mai denunciato alle forze dell’ordine. Pressioni per convincerlo a sborsare il doppio della cifra, 100mila euro, e per questo si doveva “cacare sotto”.

Per fare questo avevano deciso di intimorire “il vecchio” prendendosela con il figlio Vincenzo che, vivendo a Viterbo e conducendo una vita normale, era un bersaglio facile.

Daniele Casertano, al quale bruciarono la macchina appena acquistata per la moglie (credendo fosse stata pagata con i proventi sborsati dal mandante dell’operazione Vinci) sapeva di essere un bersaglio e non solo del Trovato.

Aveva infatti installato un sistema di videosorveglianza all’avanguardia a tutela della sua incolumità. Questo non servì a placare le ire della banda e molti dei loro intenti criminali non andarono a segno solamente grazie all’intervento dei carabinieri che misero sotto tutela anche il figlio di Camilli, Vincenzo.

La vicenda è davvero oscura e nella loro relazione i carabinieri raccontano di un Camilli reticente a rivolgersi alle forze dell’ordine per risolvere questo tipo di problemi e preferire sistemi più efficaci rivolgendosi agli ambienti malavitosi. Questa vicenda appare come la punta di un iceberg di tutt’altra storia ancora da raccontare ma, a quanto pare, qualcuno che attualmente è in regime di detenzione, avrebbe manifestato al proprio avvocato di fare luce su questa storia che non sembra abbia interessato più di tanto alcuni investigatori tanto da ritenere che Camilli sia troppo influente a Palazzo di Giustizia.

Questa è parte della relazione che riguarda Piero Camilli e del tentativo di estorsione messo in atto da Giuseppe Trovato e i suoi sodali:

 

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